Se la premier vuole raccogliere l'eredità di Berlusconi non può prescindere dall'europeismo. Come ce l'ha spiegato Spinelli superando gli errori di Carlo Magno…
Pur se descritto come il primo dei populisti, non si ricordano suoi cedimenti alla demagogia antieuropeista. Non lo fece quand’era al governo e non lo fece neanche durante i lunghi e non facili anni trascorsi all’opposizione. In questo, Silvio Berlusconi ha dimostrato una serietà e un realismo che mal si conciliano con la retorica che lo ha descritto come un leader tutto furbizie, spettacolo e sondaggi.
Ciclicamente riaffiora nella polemica politica e sulle terze pagine dei giornali la contrapposizione quasi etica tra patriottismo nazionale e patriottismo europeo. Come se i due orizzonti fossero fisiologicamente alternativi e l’uno rappresentasse fatalmente la negazione dell’altro. Non è questo che pensavano i più autorevoli tra gli europeisti italiani. E se ci liberiamo dai pregiudizi non è questo che suggerisce la ragione politica.
Carlo Magno, Luigi XIV e Napoleone Bonaparte cercarono di unire l’Europa senza rispettare le diversità nazionali. Fu questo l’errore da cui discese la caducità dei loro successi militari e diplomatici. I padri dell’europeismo trassero lezione dalla Storia ed evitarono di incorrere nel medesimo sbaglio. Uno per tutti, Altiero Spinelli.
La lezione di Spinelli è stata recepita dalle istituzioni europee. La Carta dei diritti ufficializata a Nizza nel 2000, infatti, all’articolo 22 sancisce il rispetto della “diversità culturale” e sin dal Preambolo chiarisce che lo sviluppo dei valori dell'Unione non può realizzarsi a discapito “delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa”. Si noti l’uso del plurale: non il popolo europeo, ma i popoli d’Europa.
Appare oggi piuttosto chiaro che, nell’era della globalizzazione e dei revanscismi imperialistici, il divenire degli Stati nazionali europei sia l’europeismo. I due sentimenti non confliggono, si contemperano e rappresentano l’uno la salvezza dell’altro. A Giorgia Meloni conviene prenderne atto, e rifondare sulla duplice identità nazionale ed europea una destra che per governare non può pensare basti una manovra di avvicinamento iperpoliticista al Ppe.
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